Tre Passi Umbri - VII edizione

Spoleto, 30 maggio 1999
 

        Tre Passi Umbri: 118 km., oltre 2400 mt. di dislivello e solo 6 ore di tempo massimo, decisamente insufficienti. Niente da fare. Un ripensamento ed all’ultimo momento contatto gli organizzatori. "Un’ora in più? Nessun problema, prendetevi il tempo che vi serve. Forse non sarete classificati, ma l’assistenza non vi abbandonerà."

        Nonostante una frenetica attività di contatti, alla partenza son solo e nemmeno in gran forma. Non ho digerito la cena e salire verso il 1° Passo, la Spina, occhio al cardio- frequenzimetro, cercando di completare la digestione, non è per niente facile. Sulle più facili pendenze del Soglio riesco a mangiare un paio di tocchetti di parmigiano preparati "in extremis" da mia moglie ed a tenere il passo degli ultimi. Si arriva tutti insieme al ristoro di Cerreto di Spoleto e sono un po’ affamato. Buon segno, ma non del tutto. Per questo, mentre loro già ripartono per il giro corto, mi attardo a far colazione, cercando il difficile equilibrio fra non creare altri problemi di digestione e non lasciare comunque lo stomaco completamente vuoto.

         Ecco il bivio: non ho dubbi e svolto per Passo Gavelli, ignorando garbatamente il "suggerimento" verso il giro corto dell’addetto all’incrocio. Nonostante tutto sono in perfetta tabella di marcia e posso gustarmi il panorama e la splendida giornata di sole.
        Il tratto di raccordo alla valle è breve, poi la salita inizia subito, dura ed arcigna. Il cartello predisposto dall’organizzazione mi ricorda i dati che già conosco, quasi ad invitarmi ad un ultimo ripensamento: "km.22, pendenza media 8,8%, pendenza massima 14%" Ho l’altimetria già impressa nella mente e ben in vista la tabella che preparo e porto sempre con me. Vado su. Incontro prima un ciclista, poi un altro, che tornano indietro: "Non è possibile!". Ecco, che succede ad andar troppo forte! Rallento e... vado su, con convinzione.
        All’attacco della salita, avevo già mentalmente accettato di cavarmela da solo. Comunque fosse andata, a fine maggio fa notte molto tardi e con il telefonino avrei tranquillizzato mia moglie, in attesa all’arrivo. Invece, ecco il pulmino-scopa al mio seguito. Non so che stress comporti seguire un ciclista che procede a 5-6 km/h, ma è sicuramente una cosa che difficilmente si desidera fare; ciononostante il conducente rifiuta la mia prima proposta di andare avanti ed aspettarmi più su.
        Non sono in affanno, anche se sto faticando parecchio. Ho un ritmo lento, regolare. Con lo sguardo esploro il paesaggio che cambia così lentamente da poter essere ammirato in ogni particolare. Che verde stupendo! Di tanto in tanto riesco ad indovinare dove passerà la mia strada e, non lo nascondo, qualche piccolo brivido mi corre lungo la schiena, anche se il caldo comincia a farsi sentire. Il conducente del pulmino-scopa, si assicura delle mie condizioni e va ad aspettarmi più avanti.
        Approfitto di una riduzione della pendenza per una sosta fisiologica ed, appena riparto, arriva anche il furgone-scopa. Incredibile, ma vero! Forse per alleviare la mia fatica, forse per far prima, il conducente mi fa: "Dai, che ti portiamo su noi". Rifiuto con una decisione tale, da risultare scortese. E’ solo un momento, poi troviamo tutti un’ottima intesa e sia il pulmino che il furgone si avvicendano nel seguirmi od aspettarmi più avanti. Approfitto del ristoro di Rocchetta per scusarmi della mia involontaria scortesia. Passo Gavelli è ancora lontano.
        Per gli addetti ai mezzi che, ora mi precedono, ora mi seguono, sarebbe tutto molto più semplice se mi ritirassi, ma non danno cenni d’impazienza, anzi dimostrano un grande rispetto per il mio impegno ed appena posso cerco di ripagare la loro cortesia accelerando un po’, fino al limite massimo di soglia. Ogni tanto, anzichè salire, la strada prende a scendere, per poi risalire più repentinamente di prima, costringendomi ad impegnative variazioni di ritmo. Sono circondato da un verde così intenso, come sempre meno capita di vedere.
        Attraverso il piccolo abitato di Poggiodomo. L’ambulanza, assolti i trasporti d’urgenza, è venuta sin quassù. Roba da non crederci! Un ritirato mi chiama per nome. Mi fermo e cerco di convircelo a proseguire insieme, ma sale sul pulmino-scopa e, quasi a giustificarsi, mi ricorda che il "bello" deve ancora venire.
        E riparto, ancora su. Ed arriva anche Balbo Scocchetti con la vettura dell’assistenza meccanica. Altro che assistenza meccanica! La sua è un’assistenza TOTALE. Mi affianca, mi dà indicazioni sul resto della salita, mi offre sali minerali freschi e mi "spinge" con la forza del suo entusiasmo. Invece di un organizzatore scocciato di star dietro ad un ciclista che se la prende comoda (e non va a tutta per arrivare prima) ho al fianco un compagno di viaggio che, dall’auto, mi descrive il paesaggio e mi incoraggia senza farmi fretta.
        Ora il panorama si allarga su un orizzonte sempre più vasto. Arrivo persino a vedere delle vette ancora innevate! Ecco là il Terminillo ed, ecco qui, l’ultimo strappo, più duro. Devo rallentare, ma ho attorno a me una veduta talmente eccezionale che quasi mi sfugge il cartello: Passo Gavelli, il 2° Passo, è raggiunto. Al ristoro, qualche chilometro più avanti, mi fermo quanto basta per mangiare un paio di fette di ciambellone e ringraziare gli addetti per avermi aspettato.
        Preceduto dall’auto dell’assistenza "totale" che mi apre la strada, scendo veloce e con tutta sicurezza a S.Anatolia di Narco. Un piccolo problema ai freni. Un intervento da Giro D’Italia: via la ruota, pulizia del pattino, di nuovo su la ruota. Ci ho messo più tempo io a scriverlo, che Balbo a farlo.
        Attacco la ripida salita di Castel S.Felice e, nonostante qualche ombra d’albero, fa veramente molto caldo. Un caldo che toglie il respiro e le forze. Ma Balbo è già pronto anche per questo. Mi precede un po’ e poi al mio passaggio mi corre (si fa per dire!) dietro bagnandomi abbondamente con acqua freschissima, persino i polsi. Già lo scorso anno aveva così "battezzato" il Gruppo, ma allora eravamo in quattro.
        "Val la pena fare la stessa cosa per un solo ciclista fuori tempo massimo?" Dietro mi segue l’ambulanza, il pulmino-scopa ed il furgone-scopa, che frequentemente si ferma a togliere i cartelli. "E’ giusto sacrificare così tante persone per un ciclista che per scelta guarda il paesaggio e pedala tranquillo?". "Come fa un’organizzazione ad accettare il Gruppo dei Senza Fretta, ridotto alla sola persona del coordinatore, che con l’iscrizione comunica un proprio tempo massimo per le ore 15, anzichè le 14?" Domande che affiorano nella mia mente, mentre Balbo mi segnala che sto arrivando al muro. Il muro per Meggiano.
        Speravo che i racconti sentiti fossero esagerati e che un 30x24 spianasse anche un muro. Niente di tutto ciò. Ma non posso cedere. Devo farcela, se non altro per dare una minima soddisfazione sportiva a chi mi sta seguendo. Tiro fuori tutta la "tigna" rimasta, fino a pescare l’anima stessa e non cedo. Il cuore a 180 battiti. Rallento, zigzagando, ma vado su. E quando vedo il cartello del GPM, prendo via via velocità e lo oltrepasso esplodendo in un ritmo tanto forsennato, quanto breve.
        La salita riprende più dolce verso Forca di Cerro; comincio decisamente a forzare l’andatura. Voglio rispettare il tempo massimo che mi sono dato, anche se son certo che a chi mi assiste andrebbe bene qualunque altro tempo.
        La scarpa destra, magistralmente e gratuitamente riparata da Balbo ieri sera, nella piastrina d’aggancio al pedale, non mi dà alcun problema; invece, il piede sinistro è surriscaldato, il sole picchia anche lì. No problem. Balbo si ferma un po’ più avanti per corrermi dietro e bagnarmi pure i piedi. Sono le 14,45 quando arrivo in vetta. II 3° Passo è raggiunto! 11 km. all’arrivo.
        Oltrepasso di slancio il ristoro, probabilmente deludendo gli addetti che son rimasti lì ad aspettare proprio me (ancora oggi mi rammarico per questa mia "scorrettezza"), ma un "senzafretta" è anche sportivo e se, dopo essersi goduto la sua tranquilla pedalata, ha anche una sola chance di arrivare entro il tempo stabilito, che fa? La gioca.

        Non sono un discesista. Non amo correre rischi inutili, però mi son buttato in discesa con decisione, compensando la prudenza in curva con generosi e prolungati rilanci, senza entrare in scia della macchina d’assistenza "totale", ma certo dell’efficienza della sua funzione di apristrada. Secondo più, secondo meno, alle ore 15,00 ho tagliato il traguardo d’arrivo con un colpo di reni, tanto inutile, quanto enfatico. Beh, un po’ di spettacolo non guasta. Ed, oltre a raccogliere un caloroso applauso, son riuscito a far notare la nuova maglia, che è un punto di riferimento per chiunque voglia, anche per una sola granfondo, scoprire che andar piano è bello ed in compagnia lo è ancor di più.

        E’ vero, sono arrivato molto più "provato" del solito, con lo stomaco ancora in subbuglio, ma la soddisfazione è stata davvero tanta e mi sono quasi commosso al bacio di mia moglie, la mia miss-tappa personale. Ed ancor di più mi sono emozionato alla premiazione, perchè, non lo credereste, ma mi hanno pure premiato, un premio speciale... alla filosofia ciclistica del Gruppo da me rappresentato.

        Ho salutato tutti promettendo di tornare, non più da solo, perchè la Tre Passi Umbri, pur crescendo come merita, riserverà sempre agli ultimi quell’assistenza che fa la differenza tra le "prove agonistiche" e le "manifestazioni ciclosportive"; un’assistenza da Oscar!

Pio dei Senza Fretta        

 

Balbo e Pio davanti alla macchina dell'assistenza totale
Balbo e Pio dopo la grande fatica

 

(Racconto inviato a Cicloturismo il 30/12/1999)


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