Era una bellissima mattina dell'anno 2000, l'aria era
molto fresca, un leggero venticello ti faceva rabbrividire dato che eri vestito con soli
pantaloncini e maglietta, indossavi anche l'impermeabile ma non pioveva.
Un pallido sole illuminava la vallata. Dai boschi,
dai verdi prati, dalle case uscivano i camponenti della mandria e un elicottero li riuniva
nei vari recinti.
Quando tutta la mandria fu unita, i recinti si aprirono e l'elicottero accompagnò
lentamente la multitudine multicolore oltre la collina.
Qui finisce la favola e inizia la beffa.
Era piacevole pedalare in salita sotto quel sole tiepido, ammirando le cime innevate,
respirando aria fresca e emettendo anidride carbonica che ti annebbiava gli occhiali. Meno
piacevole la discesa; le dita gelandosi frenavano con difficoltà, l'aria gelata ti
lambiva il petto e faticavi a respirare.
Però in fondo alla discesa c'era sempre un ristoro tutto rigorosamente a temperatura
ambiente.
Come non desiderare un caffè caldo?
Sono sceso dalla bicicletta, l'ho appoggiata al muro,
mi sono tolto gli occhiali, ho ammirato il lungo serpentone che lentamente saliva, sono
entrato nel locale, ho chiesto un caffè, ho osservato il tipico arredamento a base di
legno.
Prendo una bustina di dolcificante (niente zuccheri,
mi trattengo anche se a vedermi non si direbbe), l'apro senza fretta, la verso nel caffè
poi, senza fretta, col cucchiaino mescolo il tutto, alzo la tazzina, sorseggio il caffè:
è troppo caldo.
Col cucchiaino, senza fretta, mescolo ancora la
bevanda, poi senza fretta la bevo, esco dal locale, indosso l'antivento, chiedo la
cortesia di scattarmi una foto e da cicloturista proseguo la manifestazione.
La beffa è giunta a mezzogiorno.
Sono arrivato con circa 5 (dico CINQUE) minuti di ritardo al cancello ai piedi del
Falzarego. Il giudice è stato risoluto: "Di quì non si passa".
In tutta la mia vita mai nessun caffè fu più AMARO.
Primo di Lugo
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