A14, venerdì 8 settembre 2000
Sono le ore 18,00. Un pulmino bianco
sfreccia sull'autostrada in direzione di Bologna. Sfreccia? Beh, insomma cerca di
districarsi meglio che può in mezzo a un traffico molto sostenuto. All'interno: Eros è
al volante, a fianco ci sono Nicolò e Maurizio, sul sedile centrale Anna, io e Marco,
dietro Stefania e Mauro, più dietro ancora sette biciclette caricate con cura e
perfettamente tirate a lucido e pronte per affrontare la 5 Terre.
E' notte fonda quando, lasciata
l'autostrada, il pulmino bianco prende a scendere lungo le strette curve di una strada a
picco sul mare, come un'aquila a stretti cerchi scende sul suo nido.
Siamo a Moneglia e domani,
ritirati i pacchi gara, andremo in ricognizione turistica.
Mi sono aggregato agli amici della squadra ciclistica CARIFANO, conosciuti alla
Granfondo di Fano, unica nota positiva (oltre quella di aver conosciuto Sergio) di una
granfondo da dimenticare. So già che per pedalare non faremo gruppo, ma abbiamo trovato
conveniente metterci insieme per affrontare il viaggio, sia come possibilità di alternare
più autisti sia come abbattimento delle spese. La comune passione ciclistica, seppur
vissuta a livelli diversi, ci unisce più di quanto potessi immaginare.
Moneglia, sabato 9 settembre 2000
Scopriamo subito che la strada più
breve per arrivare a Deiva Marina passa per le vecchie gallerie ferroviarie, scarsamente
illuminate e molto strette, tant'è che alcuni semafori ne regolamentano il traffico a
senso unico alternato. Scopriamo pure che anzichè andare su e giù con il pulmino è più
conveniente muoversi con il treno. Avremo tanto di quel su e giù da far domani!
L'interesse per le bellezze paesaggistiche di questo straordinario angolo d'Italia si
mescola all'interesse per il tracciato ciclistico e più che verso il mare i nostri
sguardi puntano sulle asperità della terraferma. Accidenti, che roba! Le strade incombono
sopra di noi e non riusciamo a distinguere dove passano per scendere fino al mare e
ritornare su per poi imboccare la discesa del successivo paese. Per la verità, dal treno,
vediamo l'inizio della salita del S.Giorgio. Fa proprio paura. Risolvo così l'ultimo
dubbio: farò il percorso medio. Durante la cena si scherza e si ride, ma quelli che
faranno il lungo (chissà perchè!) ridono meno.
Deiva Marina, domenica 10 settembre 2000
Ci muoviamo molto presto per passare
le gallerie, con il pulmino, appena prima della chiusura al traffico automobilistico.
Trovare parcheggio, scaricare le bici, controllarle dalla pressione delle gomme alla
funzionalità del cambio, mettere gli scarpini, ecc... è un rito che facciamo quasi al
rallentatore, ma siamo comunque fra i primi ad arrivare alle griglie di partenza dove ci
mescoliamo e rimescoliamo nel fiume multicolore che man mano s'ingrossa.
Arriva un folto gruppo di Porto Potenza Picena, un paese che dista 30 km. dal mio,
e ci si saluta. Alcuni di loro sono caduti nel buio della galleria che hanno affrontato in
bici. Sembra impossibile che in una manifestazione così organizzata, nessuno abbia
pensato a piazzare qualche luce in più, giusto per l'occasione.
Più volte arretro la mia posizione e trovo sempre qualcuno da conoscere e salutare
oppure che mi conosce e mi saluta, ma ho ancora tanta gente dietro quando viene data la
partenza.
Stefano di Roma? Niente, non sono riuscito nè a vederlo nè a sentirlo al
cellulare. Pazienza, siamo in tanti e non rimarrò solo.
Invece appena la strada prende a salire mi sembra di pedalare all'indietro. Sono
sorpassato da un gruppo infinito e.... arriva Stefano, l'unico a rallentare e mettersi al
mio passo. Inutile dire che quando siamo in vetta, dietro noi non c'è più nessuno o
quasi.
Con il miraggio di una favolosa discesa su Levanto, Stefano riesce quasi a farmi
aumentare l'andatura, un'andatura però tipicamente a singhiozzo, sia per i continui cambi
di pendenza, sia per gustare dei panorami mozzafiato: a volte rallento sino a fermarmi. Le
frastagliate insenature della costa si susseguono sotto di noi. Il mare, dove non è
accecante per il riflesso solare, è di un azzurro intensissimo. Le case sono come
appiccicate su promontori coltivati e all'apparenza inaccessibili o sono disposte ad arco
lungo il mare, da sembrare scogliere erette per fermare l'avanzata opera di erosione del
mare. Mi fermo a scattare alcune foto, parlo con degli operatori televisivi, sono
euforico. Stefano si adatta con molta pazienza ed abilità al mio modo di procedere.
Nonostante la continua distrazione del paesaggio riusciamo anche a chiacchierare.
La favolosa discesa di Levanto ce la beviamo d'un sol fiato e siamo di nuovo a salire.
Incominciamo ad incontrare dei primi gruppi fermi per guasti meccanici. E mi fa molto
piacere notare che nessuno è solo. Una vettura d'assistenza meccanica cerca di fare
quello che può, ma mi sembra che oltre alle forature non sia in grado di riparare
granchè.
Siamo già arrivati alla separazione
del corto e dobbiamo lasciarci: lui, in un eccesso di debolezza, ha promesso a sua moglie
di ritornare in tempo per il pranzo. Male, se intende veramente fare il Prestigio 2001,
dovrebbe da subito cominciare ad "allenarla" alle attese dei percorsi lunghi.
Neppure questo argomento funziona ed, ormai solo e scortato dall'ambulanza, mi butto lungo
la discesa di Monterosso. Me la gusto per benino.
Chissà da quanto tempo saranno passati i primi? Nelle strade del paese la gente
non pensa più ai ciclisti e "pascola" tranquilla. Devo fermarmi più e più
volte per non travolgere nessuno. Ora si tratta di risalire su per un'altra strada più
larga, più corta e più dura.
Alla spicciolata ciclisti di una stessa squadra mi raggiungono, mi salutano e mi
sorpassano. Con un pizzico d'orgoglio riesco a rimanere "agganciato" all'ultimo
che è decisamente di umore nero. Ha bisogno di sfogarsi e rallenta per farlo con me.
Si trovava in corsa in buonissima posizione (non sono però riuscito a capire a
quale esatta posizione si riferisse una tale valutazione), ma un improvviso rallentamento
l'aveva costretto ad una uscita di strada, risultata assai rovinosa per i raggi della sua
ruota posteriore che cigola ed ondeggia vistosamente. Delle escoriazioni sulla coscia non
gliene importa nulla.
Si chiama Adriano, spesso intercala imprecazioni molto colorite, e vorrebbe
ritirarsi. L'ambulanza è già sparita da tempo avanti a noi e non c'è alcun fine-corsa.
Si va su insieme fino a ritornare al punto dove avevo salutato Stefano.
Cominciamo ad essere un po'
impazienti di arrivare al ristoro e trovare l'assistenza. Una rada boscaglia ci ripara un
po' dal sole e ci nasconde la vista del paesaggio. Aumentiamo l'andatura e raggiungiamo
qualcuno: Alfonso e Giuseppe, di Salerno e compagni di squadra ben affiatati. E' evidente
che Alfonso, seppure più pesante, ha un motore di maggior cilindrata, e si tiene sul
ritmo di Giuseppe. Il tempo di fare conoscenza ed arriviamo in vetta al Passo Termine al
primo ristoro, che sta chiudendo. Sia l'ambulanza che il fine-corsa son lì ad aspettare.
Ripartono con noi e, finalmente, entriamo nelle Cinque Terre. Solo il percorso medio e
lungo ci passano. Il corto, delle Cinque Terre, non vede nulla.
Adriano, pur non avendo trovato la tanto
sospirata ruota sostitutiva, ha ceduto alle mie insistenze ed ha rimandato il suo ritiro a
quando arriveremo a Riomaggiore, dove soggiorna con la ragazza.
La strada ora corre alta con tantissime curve, che ci schiudono un'infinità di
vedute sulla costa e sul mare. Vernazza ce la gustiamo dall'alto. Noi del percorso medio
non dobbiamo scender giù e tornar sù dal terribile San Bernardino. Proseguiamo lungo il
fianco tortuoso del monte ed Adriano comincia ad essere contento di questa esperienza. Se
fosse rimasto in corsa non avrebbe visto nulla. Ed invece c'è tanto da vedere, un mondo
intero è sotto di noi. Dolcemente stiamo scendendo verso quel mondo, abbiamo perso il
contatto con gli occasionali compagni d'avventura e rallentiamo ancora, sia per la ruota
mezza rotta che per il piacere di veder meglio, fino a fermarci alla vista di Manarola. Ne
oltrepassiamo il bivio e vediamo anche Riomaggiore. La strada riprende a salire e Adriano
è arrivato. Sale su di un coso strano con dei cestelli metallici a cavallo di un grosso
tubo metallico. E' un tipico "trenino" da carico, probabilmente avrà anche un
nome più espressivo in dialetto locale.
Ricollego mentalmente i vari ammassi più o meno arrugginiti visti qua e là ad un
servizio visto in TV, riguardo la coltivazione dello Sciacchetrà, un vitigno tipico
coltivato a terrazze. Proprio questo è l'aspetto più particolare delle Cinque Terre:
tanti pendii ripidi e scoscesi, ma segnati da un incredibile lavoro dell'uomo per arrivare a coltivare
dove si arrampicherebbero solo le capre. Così ci sono "trenini" un po' ovunque,
per arrivare nei posti più impervi. Il trenino, su cui sta aggrappandosi Adriano, lo
porterà in cima ad uno sperone dove a malapena riesco a vedere la punta di un campanile.
Vorrei fermarmi a veder la manovra, ma arriva uno dei suoi compagni di squadra, impegnato
nel giro lungo e quindi "arretrato" dalla deviazione del San Bernardino. E'
John, un americano naturalizzato milanese. Ha ancora i denti serrati nel tentativo di
recuperare tempo. E' molto determinato e dietro di lui non dovrebbe esserci più nessuno.
Penando un poco a tenere il suo passo, arrivo al ristoro posto sopra Riomaggiore. Alfonso
e Giuseppe son qui con i mezzi di supporto. Mi stanno aspettando. John prende qualcosa al
volo e riparte subito. Da quassù il panorama è eccezionale, reso ancor più bello da una
giornata molto limpida e piena di sole. Tanto sole e tanto caldo. Meglio fermarsi un poco.
Quando ripartiamo siamo proprio certi che dietro di noi non c'è più nessuno. Si
sale dolcemente ed, alla fine di una lunga galleria, una deviazione a sinistra ci porta a
Biassa. La strada che prende a salire duramente sembra trovare a fatica il passaggio fra
basse case, le più molto malridotte. Fa proprio caldo e con gioia entriamo in un bosco di
castagni, il famoso bosco di Monte Parodi. La Spezia ci appare in lontananza sul mare,
incorniciata dagli alberi, come in una cartolina. Io e Giuseppe perdiamo lentamente le
ruote di Alfonso e dall'alto sentiamo provenire delle grida d'incitamento. Pedaliamo in un
ambiente irreale, quasi fuori dal tempo e per quando arriviamo in vetta (alla falsa vetta
perchè poi si deve salire ancora) ci siamo raccontati tante cose. La discesa è una
grande sofferenza a causa della strada dissestata e dell'irregolare ombreggiamento del
fogliame che nasconde le buche più insidiose. Al bivio con la Statale Aurelia ritroviamo
Alfonso ad attenderci. Ora il fondo è molto buono e la strada scorrevole. Alfonso è una
locomotiva e ci risucchia nella sua scia. Più volte arriviamo a superare i 40 km/h. John
finisce presto nel suo mirino ed ancor più presto lo raggiungiamo. Rallentiamo per farlo
inserire e tante altre volte per mantenerlo a ruota.
Piombiamo sul ristoro di Borghetto come falchi affamati. C'è ancora molta
abbondanza e veniamo accolti festosamente. Cantando: "... l'unico frutto dell'amor...
è la banana... è la banana..." facciamo man bassa delle banane rimaste. Ci
rinfreschiamo per benino con reciproci gavettoni ed arriva in auto un amico del duo
salernitano. Tutto a posto, pronti, si riparte. Falsa partenza. Attendiamo John che si sta
attardando per bere ancora e poi si va. Quasi a farsi scusare d'essersi fatto attendere
impronta subito un ritmo abbastanza sostenuto, ma quando a Carrodano l'ambulanza ed il
fine-corsa girano a sinistra sul percorso lungo, non se la sente proprio di tornare giù
ad affrontare tanti altri chilometri, il terribile San Giorgio e ritornar sù al Passo del
Bracco. Da qui, invece, arrivare al Passo del Bracco è un tiro di schioppo. Quasi.
Le prime rampe ci rendono subito la salita difficile. John ha un
ultimo guizzo d'orgoglio, fa l'andatura poi scivola dietro e, quando è al mio fianco, si
spegne di colpo. Alfonso e Giuseppe non s'accorgono di nulla e spariscono dietro la curva.
John, piegato in due sul manubrio della bici, è in piena crisi. Torno indietro. E'
completamente introvertito nella sua sofferenza. Cerco di distoglierlo quanto più
possibile da sè stesso, lo sprono a guardarsi attorno ed arrivo a farlo arrabbiare. Bene,
da un livello di "morente" per ritornare ad un livello di "azione" si
passa sempre attraverso una fase d'ira. Verso sè stesso per aver osato troppo, verso il
caldo, verso il San Bernardino, verso le rampe micidiali e verso il carro-scopa che non
c'è. Passata la disperazione e la rabbia, ritrova sè stesso, la sua volontà di farcela
e vorrebbe subito ripartire. "Calma, non c'è fretta!" Dalle mie riserve
d'emergenza tiro fuori due tocchetti di parmigiano e ce li sgranocchiamo accompagnandoli
con lunghe sorsate d'acqua.
Intanto cominciamo a conoscerci meglio e scopriamo di aver pedalato nelle stesse
granfondo (Nove Colli, Barilla, ecc...) senza esserci mai incontrati, distanziati da circa
un quarto d'ora, a vantaggio di John. Ripartiamo al rallentatore. Chiacchieriamo del
lavoro, dell'America, della famiglia ed intanto saliamo. Forse il tempo s'è davvero
fermato, forse siamo su un'altra strada e non c'è nè Mattarana nè il Passo del Bracco.
Con la mente stiamo navigando nei ricordi, nelle emozioni, fra immagini e voci di tempi
passati. Solo vaghe ondate di caldo ci riportano di tanto in tanto al presente, giusto per
accorgerci che Mattarana c'è. Non c'è invece il rifornimento idrico, ma non c'era
neppure a Monte Parodi e al San Bernardino. John vorrebbe di nuovo fermarsi, ma lo
convinco che non serve, ci basterà l'acqua che abbiamo, ormai il più è fatto. Ed è
vero.
La pendenza s'attenua e da una strada laterale arrivano molti ciclisti, sono gli
ultimi del lungo che ci sorpassano affannati senza sapere che noi siamo gli ultimi del
medio. In cima al Passo si sta ricomponendo un gruppo numerosissimo, il Jolly Stroppa.
Questo mi fa veramente piacere.
Nella lunga discesa verso Deiva
Marina, veniamo superati da tanti ciclisti isolati e da una marea Jolly Stroppa che fa un
chiasso indescrivibile. John s'inserisce, mentre io continuo a scendere a freni tirati per
gustarmi le ultime viste aeree, prima di tornare a livello mare. Sono ormai fuori tempo
massimo, per cui minuto più minuto meno...
Oltrepassato il traguardo
ritrovo Alfonso e Giuseppe (che mi aspettano per la foto ricordo), il gruppo Jolly Stroppa
(che ha intasato il punto di consegna diplomi e mi applaude), i miei amici della Carifano
(che sono arrivati già tutti, anche quelli del lungo) e tantissima altra gente. Al pasta
party si forma subito una gran fila. Qualcuno si agita, urla che ha fame e viene tacitato
con una frittella. Mentre si aspetta, altre frittelle saltano fuori ed intanto ci si
racconta come è andata. Arriva anche l'ultimo del lungo ed è gran festa. Ma John che
fine ha fatto?
Osimo, lunedì 11 settembre 2000
La soddisfazione ancora trasuda dai
pori della mia pelle e le classifiche Speed Pass sono già pubblicate sul sito Pretelli.
Eccolo: John Hemingway, nonostante tutto, è stato classificato nel lungo! Ora sono più
tranquillo. Cominciavo a credere in uno scherzo del caldo e della mia fantasia.
pio@senzafretta.org
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