Pronti, partenza e via... subito la rampa di Montereale, un rettilineo di
circa mezzo chilometro con pendenza attorno al 10%. Uno spettacolo incredibile! Una grande
marea di colori oscillanti che avanza concellando il grigio dell'asfalto. Davanti veloce e
compatta, dietro via via sempre più lenta fino al riaprirsi di macchie grigie sempre più
grandi. E' un impatto visivo esaltante che ti spinge su, mentre il fruscìo
di duemila ruote ed il clangore di mille cambiate sembrano quasi risucchiarti verso lo
scollinamento. Così questa rampa diventa più corta ed assai meno terribile di
quel che viene dipinta da chi lamenta la durezza della partenza a freddo.
Il tempo di recuperare in discesa ed agli Archi inizia la salita
di Recanati con una rampa analoga, ma più breve e ben "nascosta" in
una doppia curva, poi la salita diventa pedalabile, si tira il fiato. Cinque chilometri
mediamente al 4%.
Ricompattamento e passo regolare. Si fa conoscenza con i nuovi compagni d'avventura e ci
si confronta nelle dichiarazioni d'intento, cioè: chi farà il percorso corto? chi farà
il lungo? Salendo, lo sguardo spazia lungo la vallata del Potenza
fino ai monti più lontani. Si scruta l'orizzonte e si "soppesano" le masse
nuvolose. Inevitabile la discussione sulle previsioni meteo. Lo scorso anno nessuno
indovinò che di lì a poco ci saremmo trovati in una bufera di neve... beh, quasi bufera.
Una bella macchia di pini marittimi fa da cornice al passaggio sul Colle
dell'Infinito, ma solo agli sguardi più attenti degli ultimi lascia intravedere
i versi del famoso Infinito leopardiano dipinti sul punto più alto del parco
pubblico: SEMPRE CARO MI FU QUESTO ERMO COLLE...
Salita di Appignano ed Osteria
Nuova. Dopo il ristoro-colazione di Sambucheto e un facile avvicinamento
pianeggiante o su dolci ondulazioni, si va su bene per un circa tre di chilometri attorno
al 4%.
Appignano è la "Città del Mobile" e la strada attraversa la
zona industriale dei mobilifici. Si scende sino al ponte e si risale dolcemente per un
altro paio di chilometri fino al crinale della collinetta. Filottrano è
di fronte in piena vista. In mezzo c'è una stretta vallata. E stretta vallata
vuol dire ripida discesa e poi subito ripida salita.
Il chiacchierìo si infittisce. Sta per arrivare il momento della grande decisione:
affrontare l'incognita del percorso lungo o lasciarsi andare all'agevole rientro del
corto?
Si va per il lungo. Salida di
Filottrano. La prima rampa, circa un chilometro, inizia secca e decisa mediamente
all'8% con una punta massima dell'11%. Inevitabile guardare a destra verso il
fondovalle, dove quelli del corto girano gridandoci gli ultimi sfottò "Ma chi
ve lo fa fare?", "A notte vi verremo a cercare!".
Questa è la cosidetta "rampa di selezione". Chi s'accorge di non
essere proprio nella condizione giusta, può fare dietrofront senza vergogna. Chi
arriva qui senza essersi accorto della separazione dei percorsi, non può non rendersi
conto di aver imboccato il percorso lungo e ben ponderare la propria scelta.
In effetti, dal punto di vista del percorso corto, la parte più impegnativa è già stata
fatta, mentre dal punto di vista del lungo i giochi cominciano ora.
La salita prosegue per altri 3 chilometri fino al centro abitato di Filottrano
con pendenze attorno al 6-7%, intervallate da bei tratti di recupero. E' la classica
salita da barzelletta, dove è facile rimanere compatti e ridere insieme.
Più breve, ma simile, è la seguente salita
di S.Maria Nuova, detta anche della Torre. In cima non c'è alcuna
torre, ma si scopre la città di Jesi, adagiata nella vallata
dell'Esino e circondata dalle colline dei Castelli Jesini, terra del Verdicchio
e della Lacrima di Morro d'Alba.
I saliscendi del crinale fra la già citata valle dell'Esino e la valle del Musone vanno
affrontati sfruttando al massimo gli abbrivi e senza sprecare inutilmente le
forze. Nelle giornate limpide si riescono a vedere i Monti Sibillini
da un lato ed il mare dall'altro. Un panorama superbo in uno spazio
infinito, senza necessità di salire ad alta quota!
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Mentre si scende lungo il
Vallone, l'inconfondibile profilo del Monte Cònero si
staglia contro il cielo. Pazientemente, anche lui ci sta aspettando.
Altrepassato lo stadio, girando stretto a destra, si cambia strada. Si affronta un
insidioso dosso ed eccolo là, sulla sinistra, il "muretto" di Varano.
Muretto? La strada scende un poco e poi s'impenna ripida e serpeggiante fino a
scomparire in una folta macchia d'alberi. Son trecento metri con pendenza massima attorno
al 15% in piena vista, ma non finisce lì. Si deve salire ancora a più riprese fino al
piccolo paese. Nessun dubbio, va innestato il rapporto più agile, se c'è la tripla è
ancora meglio. La strada è ampia e ben asfaltata. Pian pianino, a velocità da moviola,
metro dopo metro comunque si sale, magari zigzagando per evitare l'affanno. Su queste
pendenze è impossibile rimanere uniti, ma superato il tratto più ostico ci si aspetta.
Chi ha più fiato spara qualche battuta; una bella spinta di buonumore è spesso efficace
quanto una spinta fisica. "Questa è la porta del Conero? Se lo sapevo rimanevo in
giardino!" Con calma si raggiunge il paese di Varano, un
passaggio stretto fra le case. Case vecchie dove il tempo sembra essersi fermato e non
aver alcuna fretta di riprendere a scorrere. |
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"Ed ora ci facciamo un po' di montagne russe!" Per arrivare alla Panoramica
del Conero ci sono un paio di ripidi saliscendi, degli autentici demolitori di
gambe e buoni propositi. Ma la fatica è ripagata dalla vista dall'intenso verde della
macchia mediterranea del Parco e del Monte, ormai ad un tiro di schioppo.
Prima di iniziare la salita del Poggio è d'obbligo un
breve deviazione sulla strada di Portonovo fino alla naturale balconata che s'affaccia sul
mare. Non si può perdere la vista del mare frangersi sulla scogliera del Trave e sulla
scoscesa parete del Monte, mentre la bianca chiesa romanica di Portonovo sembra ergersi
sopra i flutti.
Nella passata edizione la salita
del Poggio era l'ultima asperità, a parte il non facile arrivo in via
Maccari. Molto regolare, son tre chilometri al 4%. La fatica comincia a farsi
sentire, meglio distrarsi ammirando il panorama, che salendo si svela da dietro tutte le
colline già superate e tante altre non meno protese verso il cielo: Montecassiano,
Montefano, Osimo, Offagna, Castelfidardo,
Camerano, borghi e piccole frazioni. In vetta, dal nuovo viadotto, si
arriva a scorgere Cingoli, "il balcone delle Marche", cima
coppi di passate edizioni. |
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In questa edizione, per dare una chance in più agli agonisti amanti dell'arrivo
solitario, è stata inserita a soli 7 chilometri dal traguardo la salita delle
Crocette di Castelfidardo. Due secche rasoiate al 12% separate da una breve
discesa, che solo i più preparati sapranno sfruttare per sgusciar via e fiondarsi su
Loreto.
Per tutti gli altri sarà dura. Per i senza fretta la ricetta è una sola: tripla
e determinazione. Anche se gli amici del carro-scopa saranno
pazientemente pronti a far salire chi vorrà spendere lo speciale "buono
traino" assegnato ai non agonisti, ognuno ce la metterà tutta per farcela con
le proprie gambe. E' l'ultimo sforzo, con il premio immediato di un lunghissimo
rettilineo in discesa, una favola! |
L'arrivo, pur sempre in salita, è stato reso assai più
agevole. Un primo chilometro con punta massima al 5% ed un secondo
chilometro con un brevissimo superamento del 7%, poi rettilineo finale in viale
Gatti, circa 250 metri dal 4% al 6%. Traguardo raggiunto.
Docce, pasta-party e premiazioni, anche per gli ultimi, ma soprattutto la soddisfazione
di avercela fatta e l'emozione di una intensa giornata in bici, all'aria aperta
e con tanti amici. Questa non è un gran fondo qualsiasi: è la Gran Fondo del
Conero! |